L'arte Medievale In Italia Romanini Pdf 11
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L'arte Medievale In Italia Romanini Pdf 11
La difficile ricomposizione dell'immagine urbana di M. altomedievale si appoggia alla lettura dei Versus de Mediolano civitate (post 738) e del Libellus de situ civitatis Mediolani (sec. 10), mentre dall'approccio archeologico, pur sorretto negli ultimi decenni da nuove metodologie, si ricavano dati frammentari, che sono stati utilmente correlati ai risultati emersi da vecchie campagne di scavo.Porzioni consistenti delle mura tardoantiche dovevano essersi conservate nel corso dell'Alto Medioevo e la persistenza del circuito delle mura romane è ricordata dai Versus de Mediolano civitate secondo una formulazione elogiativa almeno in parte da riferire all'accentuazione retorica (Lusuardi Siena, 1986); l'apparecchiatura muraria con blocchi squadrati corrisponde tuttavia ai resti archeologicamente documentati al Carrobbio, al monastero Maggiore e a S. Maria d'Aurona. È stato anche evidenziato un sistema di rafforzamento con un muro più grosso in via S. Vito e in via delle Ore; l'integrazione con conci provenienti dall'anfiteatro segnala soltanto un termine post quem degli inizi del sec. 5 per questo tratto della cinta urbica. L'espansione sulle mura tardoantiche si documenta per il monastero e per la chiesa longobarda di S. Maria d'Aurona, per la cappella di S. Silvestro, per il settore sottostante la chiesa di S. Donnino alla Mazza, e, dall'età carolingia, per il monastero Maggiore, sorto tra le mura urbiche e la parete di fondo del circo; entro quest'ultimo complesso, che comprendeva un vasto brolo, una struttura riferibile all'età carolingia viene identificata nella sezione terminale, con una trifora su ogni lato, della torre quadrata di via Luini, forse in origine pertinente ai carceres del circo.Le fonti non forniscono indicazioni sugli edifici eretti in M. in anni prossimi all'arrivo dei Longobardi e nella prima età longobarda. Le fondazioni di una piccola abside dietro l'altare di S. Eustorgio e frammenti murari entro l'emiciclo absidale della chiesa attuale sono stati giudicati pertinenti al tempo di Eustorgio I (ca. 343-355) e di Eustorgio II (511-518). Tra i secc. 6 e 7 è stata datata la chiesa di S. Giovanni in Conca, un'aula rettangolare absidata, segnata all'esterno da robusti contrafforti rettangolari, una struttura sorta sull'area di una domus del sec. 3 in una zona interna alle mura repubblicane, ma forse abbandonata nel corso del 5 secolo. Incerta rimane la datazione del sacello cruciforme, documentato dallo scavo entro la chiesa di S. Maria la Rossa, all'esterno della città sulla via verso Pavia.Il tessuto urbano era comunque segnato da importanti edifici paleocristiani, sui quali i rifacimenti altomedievali si documentano in modo molto incerto.La cattedrale doppia aggregava, secondo una sequenza assiale, la grande chiesa paleocristiana, dedicata originariamente al Salvatore, e almeno dal sec. 8 a s. Tecla - scavata sotto l'od. piazza del Duomo da de Capitani D'Arzago (1952) e da Mirabella Roberti (1963) -, il battistero ottagonale di S. Giovanni alle Fonti a E e la chiesa di S. Maria Maggiore, ubicata sotto il duomo attuale. S. Tecla è citata come chiesa aestiva solo a partire dall'879 nel testamento dell'arcivescovo Ansperto (Porro Lambertenghi, 1873, nr. 290), mentre la chiesa di S. Maria è ricordata come iemale soltanto nel 915 (Picard, 1988, pp. 98-99). Si discute se lo schema assiale ricalchi un assetto precedente, mentre dalla lettera di Ambrogio alla sorella Marcellina (Ep., I, 20; CSEL, LXXXII, 1982, pp. 108-125; de Capitani D'Arzago, 1952, pp. 166-168) si evince la contiguità della ecclesia maior, definita anche come nova, alla vetus, detta anche minor (poi S. Maria iemale), sottintendendone la precedenza nel tempo. Inoltre, se si identifica la vasca battesimale, ritrovata nel 1899 sotto la sagrestia aquilonare del duomo attuale, con quella del battistero di S. Stefano, ricordato agli inizi del sec. 6 da Ennodio (CSEL, VI, 1882, p. 160), si deve ritenere che tale struttura fosse connessa a un edificio chiesastico, forse la vetus precedente S. Maria iemale. La notizia della sua costruzione nell'836, riferita dagli Annales Mediolanenses minores, potrebbe indicare un rifacimento connesso alla vita comune del clero. Mentre la denominazione di minor potrebbe essere derivata da un'articolazione in tre navate della chiesa, tra i pochi dati relativi alla chiesa di S. Maria Maggiore, si ricordano il ritrovamento di settori murari, di colonnine e di pilastrini attorno allo scurolo, l'identificazione del diaframma trasversale, con semipilastri forse romanici, collocati in corrispondenza del terzo valico del duomo attuale; le riproduzioni della facciata, distrutta nel 1682, sembrano suggerire un rifacimento intorno al 1378, poco prima che Gian Galeazzo Visconti desse inizio alla nuova cattedrale. All'interno della basilica paleocristiana di S. Tecla, a cinque navate e transetto non emergente, eretta intorno alla metà del sec. 4 e modificata dopo le distruzioni di Attila, si documenta la presenza di numerose sepolture altomedievali, alcune delle quali dipinte. Danneggiata dagli incendi che toccarono M. nel 1071 e nel 1075, fu interessata da rimaneggiamenti che rispettarono l'impianto a cinque navate, comportarono la sostituzione di colonne paleocristiane con pilastri articolati, collegati da muri di fondazione continua, e la rifoderatura dell'abside maggiore post-attilana, affiancata da due absidi minori; incerta rimane la data dell'introduzione della cripta a oratorio, con abside arretrata rispetto all'emiciclo, che de Capitani D'Arzago (1952, p. 109) riteneva precedente l'intervento romanico. L'abbattimento della chiesa tra il 1461 e il 1462 consentiva al cantiere del nuovo duomo di procedere verso O e di ampliare la piazza antistante, affiancata sul lato nord da una struttura porticata, il 'coperto dei Figini'.È attestata la continuità della funzione cimiteriale per le aree contigue alle mura e all'esterno, attorno alle basiliche paleocristiane, è ricordata la costruzione di monasteri, oratori e strutture insediative di vario tipo, in genere scarsamente documentate dai ritrovamenti archeologici e di incerta cronologia. Il sacello addossato al muro perimetrale settentrionale di S. Ambrogio, dotato di abside a semicerchio oltrepassato e di pavimento in opus sectile bianco e nero, è stato datato tra i secc. 5-6 e 7-8 e ne è stato registrato l'abbandono già nel sec. 9, ma sulla sua funzione originaria non sono emersi dati certi. Una domus della basilica apostolorum fu sede del tribunale presieduto dal conte Leone negli anni 820-840, e di una canonica e di un edificium casae rimane traccia in un frammento di epigrafe. All'importanza della basilica virginum, eretta da Ambrogio sulla via per Como, ma aperta al culto dal suo successore Simpliciano (m. nel 401), non si connette un sicuro rinnovamento altomedievale, non risultando in questo senso dirimente il rinvenimento di tegole con il marchio di Agilulfo (591-615/616) e del figlio Adaloaldo (616-625), correlabili anche a interventi di semplice manutenzione della copertura. Tuttavia, un rifacimento di S. Simpliciano, precedente quello del sec. 12, si documenta sulle pareti laterali al di sopra delle volte, per le tracce di lesene connesse in origine a un numero doppio di sostegni rispetto a quello della ristrutturazione romanica: si configura un assetto con copertura a tetto, variamente datato all'età longobarda o al primo 11 secolo. Scavi recenti hanno prospettato l'ipotesi di una tripartizione dell'invaso e dell'innalzamento del livello pavimentale in opus sectile in età longobarda; non si documenta alcun intervento edilizio in relazione all'istituzione di un monastero nell'881.Tra gli edifici eretti in M. nel corso del sec. 8 si ricorda la chiesa di S. Benedetto, fatta costruire dal vescovo Benedetto nel 703, mentre tra sec. 7 e 8 sono stati datati i resti delle fondazioni di S. Romano presso S. Babila. La storiografia milanese tardomedievale connette le vicende costruttive della chiesa e del monastero di S. Maria d'Aurona all'arcivescovo Teodoro II e alla presunta sorella Aurona intorno al 740. Il ritrovamento ottocentesco di importanti elementi del dettaglio architettonico e dell'arredo liturgico si integra con la pianta pubblicata da de Capitani D'Arzago (1944) per restituire la nozione di un'aula unica a terminazione orientale tripartita, con una nicchia centrale a semicerchio oltrepassato e due laterali rettangolari, saldata a un atrio quadrato: una planimetria di origine discussa, attestata da altre cappelle, soprattutto dell'arco alpino, che non sembrano tuttavia anteriori al tardo 8 secolo.L'istituzione, presso la basilica di S. Ambrogio, di un monastero benedettino, ricordato in due documenti del 784 e del 789 (Il Museo diplomatico, 1971, nrr. 28, 30), viene tradizionalmente considerata un termine post quem per l'erezione del campanile 'dei monaci', contiguo al lato sud della chiesa e datato da Arslan (1954a) al sec. 9; sulle pareti lisce, la successione dei piani è segnata da monofore, apparecchiate con una tecnica simile a quella del Westwerk di Corvey, mentre la cella campanaria era in antico contrassegnata da bifore, ancora evidenti all'interno del quinto piano, ma chiuse in età romanica per la sopraelevazione della torre. Tracce di interventi del tempo dell'arcivescovo Tomaso nel 780 sono state identificate nella cripta di S. Calimero, mentre nella seconda metà del sec. 8 si ricordano il monastero di S. Salvatore e nell'806 un oratorium di S. Vincenzo in Prato. Intorno all'813 venne fondata la chiesa di S. Maria al Circo, nell'856 la chiesa di S. Maria Fulcorina e nell'871 un'altra chiesa dedicata alla Vergine, detta in seguito S. Maria Podone; tra i monasteri si ricordano S. Protaso, S. Maria del Gisone, S. Maria di Vigelinda.L'attività costruttiva promossa dall'arcivescovo Ansperto (868-881) viene menzionata nel suo epitaffio, conservato in S. Ambrogio: se risulta impossibile riconoscere strutture murarie altomedievali entro l'atrio della basilica ambrosiana e nulla si sa della casa di Stilicone, mancano dati sicuri sul restauro delle mura promosso da Ansperto e incerti rimangono sia lo sviluppo sia la valutazione dei frammenti dell'area dell'arcivescovado, includenti alla base sarcofagi riempiti di malta e pietrame, come nelle fondazioni della cappella di S. Lino in S. Nazaro del sec. 10; si connette alla committenza del presule la cappella dei Ss. Satiro, Silvestro e Ambrogio, od. cappella della Pietà, adiacente alla chiesa bramantesca di S. Maria presso S. Satiro. Entro l'impianto a croce greca, inscritta entro un quadrato, la campata centrale quadrata più elevata è connessa a quattro colonne raccordate a volte a botte, più basse, sulle campate laterali e a volte a penetrazione sui settori angolari, mentre il perimetro è scandito dalla sequenza di nicchie semicircolari di diversa ampiezza. La struttura architettonica implica il riferimento ai martyria armeni o georgiani o a un prototipo bizantino, che poteva avere ispirato anche la chiesa palatina eretta da Basilio I il Macedone (867-886) e consacrata nell'881; il confronto con l'assetto planimetrico dell'oratorio di Germigny-des-Prés (dip. Loiret) evidenzia l'espansione del settore centrale e la contrazione delle risoluzioni angolari. Sono stati identificati resti del sec. 9-10 della chiesa di S. Vittore al Corpo, ricordata dal sec. 8, contigui all'antico ottagono di S. Gregorio, mausoleo di Massimiano utilizzato per Valentiniano II (383-392); la vicina chiesa di S. Martino ad corpus si documenta dall'11 secolo.Nel sec. 10 l'attività costruttiva è attestata da scarsissime testimonianze, tra cui si ricorda la cappella di S. Lino presso S. Nazaro, eretta dall'arcivescovo Arderico (936-948), quasi una riformulazione semplificata dell'oratorio di S. Satiro: l'invaso quadrato e absidato è coperto da volta a crociera, raccordata ad arcate impostate su risalti angolari, entro cui si aprono brevi nicchie semicircolari.Tra sec. 10 e 11 la risentita affermazione del potere episcopale che caratterizzava le città dell'Italia settentrionale si concretizzò a M. in parallelo con l'affermazione della preminenza della Chiesa ambrosiana su quelle dell'Italia settentrionale, incrementando quindi il processo di identificazione della città con il suo vescovo. Nell'arco di trent'anni i vescovi Landolfo II (992-998), Arnolfo II (998-1018) e Ariberto (1018-1045) fecero erigere tre monasteri, S. Celso, S. Vittore e S. Dionigi, di cui non rimane tuttavia alcuna traccia architettonica.Il rinnovamento del settore orientale della basilica di S. Ambrogio viene annoverato tra le prime sperimentazioni del linguaggio romanico, ma la sua datazione rappresenta di fatto un problema critico aperto, che comporta l'oscillazione della cronologia tra la seconda metà del 10 e gli inizi dell'11 secolo. L'addizione all'impianto basilicale paleocristiano di un coro tripartito, sopraelevato sulla cripta e triabsidato - con una campata centrale voltata a botte e due campatelle laterali voltate a crociera -, è improntata a un sostanziale rispetto per l'antico luogo delle reliquie e si concretizza probabilmente in concomitanza con la rielaborazione del ciborio e del ricco apparato decorativo. In parallelo, un nuovo sistema di articolazione della parete muraria correla la sequenza degli archetti pensili al profilo delle nicchie a fornice, sentite anche come un fatto strutturale, in funzione di alleggerimento della parete muraria; il sistema dei fornici facilita inoltre l'adesione dell'estradosso del semicatino alla copertura esterna, secondo un procedimento che Landriani (1889) documenta anche per la botte del coro e che anticipa la sperimentazione più tardi correlata alla formulazione della volta a crociera e soprattutto dei tiburi. La casistica lombarda ed europea evidenzia il ruolo egemone di M. nell'elaborazione del tema dei fornici, anche come unificante connotato linguistico da valutare attraverso la ricomposizione di un apparato di varianti che giungono fino al sec. 12, in connessione con assetti strutturali differenziati: per es. l'abside di S. Eustorgio, S. Calimero, S. Vincenzo in Prato, S. Vittore al Corpo, S. Babila, S. Giovanni in Conca, S. Celso, S. Nazaro.Nel corso del sec. 11, tra le testimonianze che documentano a M. la concreta determinazione del lessico architettonico romanico si evidenzia l'introduzione della cripta a oratorio, sia in connessione con un assetto di coro di tipo ambrosiano voltato a botte, come ad Agliate nel contado milanese, sia in emicicli altomedievali come in S. Giovanni in Conca - di cui la cripta rimane come unico elemento superstite -, sia in chiese che direttamente aggregano l'abside al corpo longitudinale, come S. Vincenzo in Prato, un edificio connesso alla tradizione paleocristiana anche per l'utilizzo delle colonne a tripartire l'invaso interno e per la tipologia delle grandi finestre a spalle dritte. Difficile precisare il ruolo della riforma e delle esigenze liturgiche legate alla vita comune del clero, che si è ipotizzato (Cattaneo, 1975) potrebbero avere motivato, tra l'altro, la diffusione della cripta a oratorio in area milanese. Senza forzare il ruolo della riforma in relazione a programmi costruttivi che per l'area milanese non si appoggiano a concrete testimonianze monumentali, Cattaneo (1975, p. 54) ricordava che l'affermazione di una tendenza a differenziare l'area cultuale presbiteriale è documentata dalla canonica fondata da s. Arialdo nel 1062: quel "corus alti curcumdatione muri concluditur, in quo ostium ponitur" (Andrea da Strumi, Vita s. Arialdi) è stato avvicinato al coro profondo di S. Paolo a Mantova tra il 1057 e il 1086, ma è stato citato anche il frazionamento trasversale di S. Maria Gualtieri. Segnali di una prima fase dell'elaborazione del linguaggio romanico sono stati identificati nei primi due pilastri orientali, documentati archeologicamente, della chiesa di S. Eustorgio, di sezione rettangolare, con una lesena aggregata verso le navatelle laterali. Tali resti sono stati connessi a un sistema di arcate trasversali sottese alla copertura a capriate.Incerta rimane la formulazione della chiesa che Benedetto Rozone e la moglie Ferlenda dedicarono alla Trinità nel 1036 in un'area in antico corrispondente al foro e nel Medioevo occupata dalla zecca; allo scadere del secolo, di ritorno dalla prima crociata, Benedetto Rozone di Corticella, pronipote del fondatore, ampliò o riedificò la chiesa con una dedicazione al Santo Sepolcro. L'assimilazione all'omonima basilica gerosolimitana sarebbe dichiarata anche dall'analogia tra la piazza antistante la chiesa, lievemente rialzata, e il monte Sinai. La terminazione orientale triconca e l'aggregazione verso O di due torri, che, insieme con l'estensione della cripta, avevano motivato l'interesse di Leonardo, presuppongono legami con l'architettura d'Oltralpe.Sullo scorcio del sec. 11, un assetto politico e sociale, che garantiva attorno al consolato la coesione istituzionale e l'unità della città, incrementò il fervore ricostruttivo, che non toccò soltanto le chiese distrutte dagli incendi del 1071 e del 1075; Arnolfo di Milano (Gesta archiepiscoporum Mediolanensium) specificamente menziona S. Tecla, S. Maria, S. Lorenzo, S. Nazaro e S. Stefano. Ripercorrere le tappe di questa vicenda costruttiva non è facile sia per la scarsità degli episodi sicuramente documentati dalle fonti sia per la complessità dei problemi dibattuti dai costruttori milanesi e lombardi attorno alla configurazione della campata voltata, scandita da pilastri articolati in sequenza uniforme o alternata. Deve essere sottolineato piuttosto il carattere sperimentale di alcune empiriche risoluzioni dei costruttori lombardi, e soprattutto milanesi, anche in relazione al problema dell'introduzione di una dinamica spaziale innovativa entro sistemi costruttivi tardoantichi, secondo premesse e implicazioni diversificate e certamente con esiti non a fondo indagati.A S. Ambrogio il meccanismo compositivo della campata alternata si applica a un assetto longitudinale che ricalca l'impianto della chiesa antica, sia nel dimensionamento sia nell'allineamento dei sostegni, mentre la divaricazione delle pareti nel settore occidentale favorisce la connessione con il quadriportico; risulta invece difficile verificare i riferimenti tra la chiesa antica e quella attuale per un tema qualificante del S. Ambrogio romanico come il matroneo, poiché, come è noto, l'ipotesi di Verzone (1974) circa la presenza di matronei nella chiesa paleocristiana si basava su osservazioni relative all'arcata trionfale, danneggiata anche dagli eventi bellici. La nuova dinamica spaziale si concretizza nella chiesa ambrosiana attraverso l'introduzione, in sequenza alternata, dei possenti pilastri polistili e delle volte a crociera costolonate; si tratta di volte molto rialzate in chiave, quasi pseudo-crociere a cupola costolonate, che richiesero probabilmente l'applicazione, sull'estradosso, di voltine sussidiarie, a mediare l'adesione delle falde della copertura, secondo un procedimento che si documenta in altre chiese lombarde a sistema alternato, e specificamente in S. Savino a Piacenza, S. Michele e S. Giovanni in Borgo a Pavia. La parete, nel settore corrispondente all'unità modulare della campata centrale, evidenzia la serrata concatenazione tra il profilo delle volte e la successione duplicata delle arcate, connesse all'articolazione dei matronei. La luce, filtrata dai grandi finestroni aperti sulla loggia, acquista il valore di elemento unificante nella scansione pausata di comparti modulari voltati, mentre a E la cupola ottagonale, introdotta senza la giustapposizione di un corpo